COVID-19 e ossigeno-terapia: efficacia del supporto respiratorio non invasivo

  • Paolo Spriano
  • Uniflash
L'accesso ai contenuti di questo sito è riservato agli operatori del settore sanitario italiano L'accesso ai contenuti di questo sito è riservato agli operatori del settore sanitario italiano

Per i pazienti con COVID-19 che vanno in ospedale, la caratteristica predominante è l'insufficienza respiratoria ipossiemica, che spesso richiede un supporto respiratorio aggiuntivo rispetto alla terapia con ossigeno standard. 

In questi soggetti, con aumentato fabbisogno di ossigeno, il medico deve decidere come e quando intensificare il trattamento, cercando di evitare, quando è possibile, la necessità della ventilazione meccanica invasiva. 

Il supporto respiratorio non invasivo (NIRS) viene utilizzato di routine in diverse condizioni associate all'insufficienza respiratoria ipossiemica acuta (1), ma con scarse prove di alta qualità nel COVID-19. Una recente meta-analisi mostra come il trattamento con strategie NIRS è associato a un minor rischio di morte negli adulti con insufficienza respiratoria ipossiemica acuta correlata a COVID-19 rispetto all'ossigeno-terapia standard (2).

Polmonite da COVID-19 - driver dell’ipossia

Il segno distintivo della morbilità di COVID-19 è la polmonite, mediata dal legame virale ai recettori dell'enzima 2 di conversione dell'angiotensina nel tratto respiratorio e negli alveoli polmonari con pazienti che possono presentare ipossia grave anche in assenza di distress respiratorio. La progressione dell'ipossia a volte è insidiosa in quanto i pazienti possono non essere dispnoici, nonostante bassi livelli di ossigeno ematici. Le conseguenze dell'ipossia progressiva possono includere il potenziamento della proliferazione virale, il rilascio di citochine, l'infiammazione, la coagulazione intravascolare e la vasocostrizione ipossica polmonare, che costituiscono il pattern fisiopatologico della progressione di COVID-19. Attenuare l'ipossia può verosimilmente mitigare del tutto o in parte questi processi fisiopatologici (3).

Ruolo dell’Ipossia

La dispnea al ricovero e l'ipossia, nonostante l'integrazione di ossigeno, sono dei predittori indipendenti di mortalità: il 99% dei pazienti che erano in grado di mantenere il livello di saturazione dell'ossigeno a più del 90% con l'integrazione di ossigeno somministrata al momento del ricovero sopravviveva; Il 69% di quelli con un livello di saturazione di ossigeno inferiore o uguale al 90% nonostante l'integrazione di ossigeno è morto (4). Il legame tra bassi livelli di ossigeno, markers infiammatori e D-dimero è dimostrato e sostiene l’ipotesi che flogosi e trombo-emboli contribuiscano all’ipossiemia. Una relazione probabilmente bidirezionale per la capacità dell’ipossiemia di potenziare le risposte infiammatorie, vasocostrittrici polmonari e trombogeniche. Questo spiega come il mantenimento di una maggiore saturazione di ossigeno con la sua integrazione possa indicare una malattia polmonare meno grave e mitigare la progressione della polmonite da COVID-19. Gli effetti dell'ipossia sui meccanismi fisiopatologici della polmonite COVID-19 sono alla base del forte razionale per l'integrazione di ossigeno come intervento terapeutico (4). 

Supporto respiratorio non invasivo

I pazienti affetti da COVID-19 possono sviluppare polmonite caratterizzata da infiltrati interstiziali bilaterali, che possono portare a ARDS e insufficienza respiratoria. Nei pazienti che sviluppano insufficienza respiratoria, l'ossigeno-terapia convenzionale tempestiva attraverso il catetere nasale svolge un ruolo cruciale, ma può essere utilizzata solo nelle forme lievi. I pazienti con ipossiemia acuta possono manifestare dispnea persistente, nonostante la somministrazione di flussi di ossigeno > 10-15 l/min attraverso una maschera facciale con serbatoio e in queste circostanze sono utili diversi approcci alternativi (2).

Pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP) - può essere erogata tramite un cappuccio o un casco o una maschera facciale aderente parziale o integrale. 

Ventilazione a pressione positiva delle vie aeree bilivello (BiPAP) - utilizzata principalmente nell'insufficienza respiratoria ipercapnica (tipo 2), utilizza un'interfaccia simile per fornire un supporto inspiratorio aggiuntivo su uno sfondo a pressione positiva continua. 

Dispositivi ad ossigeno nasale ad alto flusso (HFNO) - in grado di erogare un flusso di gas umidificato di 30–60 l/min (o superiore) tramite cannule nasali appositamente adattate, riducono la ventilazione dello spazio morto e forniscono una pressione positiva dinamica delle vie aeree. 

Prove di efficacia della NIRS

Le tecniche NIRS (HFNO, CPAP e BiPAP) sono state sempre più utilizzate nei pazienti con insufficienza respiratoria da COVID-19 con l'obiettivo di evitare la necessità di ventilazione meccanica invasiva, ma questo è avvenuto anche prima che i dati di efficacia e sicurezza fossero disponibili da studi controllati.

La meta-analisi pubblicata da Lancet Respiratory Medicine (2) ha stratificato gli studi in base alla tipologia di pazienti:

Pazienti in trattamento massimale con NIRS - (no intubazione) Sono stati identificati 22 studi, in prevalenza Italiani o Britannici, con 1.050 pazienti arruolati. Il tasso di sopravvivenza globale in questi soggetti è stato del 29,8%.

Pazienti candidati a esclation per ventilazione invasiva - In totale è passato alla ventilazione invasiva il 37% (1880) dei pazienti (5120), con una sopravvivenza globale del 78% e simile per le diverse modalità di NIRS (2).

Pazienti con esclation per ventilazione invasiva non specificata - 42 studi comprendenti 7761 pazienti.  La sopravvivenza globale è stata del 64,1%.

Ad oggi 85 studi osservazionali e 2 studi randomizzati controllati RCT riferiscono che, nel complesso, la ventilazione invasiva è stata evitata in 7710 (61,0%) di 12633 pazienti con COVID-19 che hanno ricevuto NIRS.  I due RCT indicano la superiorità della ventilazione non invasiva rispetto all'ossigeno nasale ad alto flusso nel ridurre la necessità di intubazione. I tassi di complicanze segnalati erano bassi. 

Le prove di evidenza derivate dagli studi indicano che l'uso della NIRS nei pazienti con COVID-19 è sicura, riduce la necessità di intubazione, migliora l'utilizzo delle risorse e potrebbe essere associata a risultati migliori. Inoltre, la NIRS potrebbe migliorare i risultati nei pazienti che ricevono ossigeno con maschera facciale che non sono ritenuti idonei per l'escalation alla ventilazione invasiva. Tuttavia, i risultati dipendono anche da fattori correlati al paziente come l'età e le comorbilità e la gravità della malattia di base prima dell'inizio della NIRS. Dai due RCT disponibili, la ventilazione non invasiva sembra essere superiore all'HFNO nel ridurre la necessità di intubazione, ma rimangono molte incertezze ad alimentare le difficoltà decisionali dei medici.  

Saranno necessari nuovi studi prospettici e randomizzati per definire meglio i tempi di intervento, l’uso ottimale delle modalità NIRS, da sole o in combinazione,  la convalida di strumenti come gli indici di ossigenazione, i marcatori infiammatori come predittori del successo del trattamento. Tutti aspetti in attesa di un chiarimento affinchè i pazienti possano trarre maggiore beneficio da un'intubazione precoce quando si prevede il fallimento della NIRS, senza essere lasciati a lottare “inutilmente” per periodi prolungati.