COVID-19: il punto su anticorpi, persistenza dell’immunità e rischio di reinfezione
- Paolo Spriano
- Uniflash
L’infezione da SARS-CoV-2 produce risposte immunitarie rilevabili nella maggior parte dei casi; tuttavia, è incerta la misura in cui le persone precedentemente infette siano protette da una seconda infezione.
Capire se esiste l'immunità post-infezione, quanto dura e fino a che punto può prevenire la reinfezione sintomatica, o ridurne la gravità sono tutti aspetti con importanti implicazioni nella pandemia di SARS-CoV-2. L'immunità post-infezione può essere conferita da risposte immunitarie umorali e cellulo-mediate. Per avere un'immunità protettiva, un individuo ha bisogno di produrre anticorpi specifici, chiamati anticorpi neutralizzanti (NAbs), che impediscono al virus di entrare nelle cellule dell’organismo ospite. Non è chiaro se tutte le persone che hanno avuto COVID-19 sviluppino questi anticorpi. Gli studi sull'immunità post-infezione si stanno concentrando sull'identificazione di correlati funzionali di protezione, l'identificazione di marker surrogati misurabili e la definizione di end-point, come prevenzione della malattia, ospedalizzazione, morte o trasmissione. Le dinamiche anticorpali dipendenti dal dosaggio degli anticorpi anti-spike e anti-nucleocapside SARS-CoV-2 sono in fase di definizione. Gli anticorpi neutralizzanti contro il dominio di legame del recettore della proteina spike (RBD) possono fornire una certa immunità post-infettiva. Tuttavia, l'associazione tra i titoli degli anticorpi e l'attività di neutralizzazione del plasma dipende dal dosaggio e dal tempo.
Risposta immunitaria post-infettiva in asintomatici e casi lievi
In questi mesi sono emerse prove per l'immunità post-infezione. Nonostante più di 100 milioni di persone infettate in tutto il mondo e una diffusa trasmissione in corso, le reinfezioni segnalate da SARS-CoV-2 sono state rare, e si sono verificate principalmente dopo un'infezione primaria lieve o asintomatica (1) e questo fa ritenere che l'infezione da SARS-CoV-2 nella maggior parte dei casi fornisca una certa immunità contro la reinfezione. Infatti l’aspetto funzionale degli anticorpi è essenziale per la protezione dalla reinfezione e per sostenere una risposta anticorpale persistente. Questo assetto immunitario è stato confermato in un cluster di soggetti dopo infezioni lievi o asintomatiche, dove l'attività è stata rilevata nel 53,4% degli asintomatici o lievemente sintomatici dopo 8 mesi dall’infezione. (2) Un risultato che suggerisce come la durata della diffusione del virus rifletta la quantità di stimolazione immunitaria umorale, anche nelle persone asintomatiche o lievemente sintomatiche con COVID-19.
Persistenza anticorpi anti-spike e rischio reinfezione
Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine (3) ha evidenziato che, in 12.541 operatori sanitari, seguiti e testati per la presenza degli anticorpi anti-spike, 1265 erano sieropositivi, di cui 88 in cui si è verificata la sieroconversione durante il follow up di 31 settimane. Complessivamente in 223 operatori sanitari sieronegativi c’è stato un riscontro di un test PCR positivo, 100 durante lo screening mentre erano asintomatici e 123 mentre erano sintomatici, mentre solo due operatori sanitari anti-spike-sieropositivi hanno avuto un test PCR positivo ed entrambi i lavoratori erano asintomatici al momento del test. Infine non sono state riscontrate infezioni sintomatiche nei lavoratori con anticorpi anti-spike. Complessivamente questi risultati hanno permesso di affermare che la presenza di anticorpi IgG anti-spike o anti-nucleocapside era associata a un rischio sostanzialmente ridotto di reinfezione da SARS-CoV-2 nei successivi 6 mesi.Non è possibile, acausa del basso numero di reinfezioni nei soggetti sieropositivi, confermare se la sieroconversione o i livelli di anticorpi riscontrati fossero in grado di determinare protezione dall'infezione o definissero caratteristiche associate alla reinfezione. Inoltre, lo studio non ha permesso di discriminare se la protezione fosse conferita dagli anticorpi testati o attraverso l'immunità da linfociti T, che non sono stati valutati nello studio.
Variazioni della risposta immunitaria
I principali obiettivi anticorpali nell’infezione da SARS-CoV-2 sono spike e le proteine del nucleocapside (NCP) e questi anticorpi sono rilevabili sei giorni dopo la conferma dell'infezione mediante test PCR e insieme a quelli diretti RBD mostrano capacità neutralizzanti e, quindi, possono prevenire l'infezione. Tuttavia, il rapido declino dei livelli sierici di IgG anti-SARS-CoV-2 dopo 20 giorni dalla diagnosi e la presenza transitoria di plasmoblasti circolanti lasciano interrogativi aperti sulla durata dell'immunità. Invece, durante la convalescenza, possono essere rilevate le cellule T della memoria antigene-specifica e le cellule B della memoria (Bmem). Questi tipo di memoria cellulare è programmata per rispondere rapidamente al successivo incontro con l'antigene, ed è ragionevole ipotizzare che fornisca un'immunità persistente a lungo termine.
Lo studio pubblicato su Science Immunology (4) ha analizzato, in soggetti affetti da COVID-19, le cellule Bmem specifiche per RBD e NCP circolanti, rilevate subito dopo l'infezione, documentando la loro persistenza per 242 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi. Subito dopo l'infezione, le cellule Bmem antigene-specifiche esprimevano prevalentemente IgM, seguite nel tempo da una prevalenza di IgG1. È stato riscontrato che i numeri di cellule Bmem specifiche per RBD erano correlate positivamente con il numero di cellule T circolanti che orientano a un'attività prolungata del centro germinale (GC). Questi risultati mostrano come un calo degli anticorpi sierici durante la convalescenza potrebbe non riflettere il declino dell'immunità, ma piuttosto una contrazione della risposta immunitaria con lo sviluppo e la persistenza della memoria delle cellule B fino a 8 mesi post-infezione che potrebbe essere protettivo contro la malattia sistemica in caso di reinfezione.
Considerando che i livelli sierici di anticorpi diminuiscono dopo la clearance dell'antigene, un dato che conferma la contrazione della risposta immunitaria, mentre le cellule Bmem specifiche per SARS-CoV-2 sono stabili nel tempo, è viene ipotizzato (4) che le Bmem rappresentino un marcatore più robusto di risposta immunitaria umorale di lunga durata rispetto agli anticorpi sierici. Pertanto, queste misurazioni cellulari della risposta immunitaria potrebbero essere marcatori più affidabili per verificare il mantenimento dell'immunità a seguito di infezione naturale o vaccinazione.
L'accesso al sito è limitato e riservato ai professionisti del settore sanitario
Hai raggiunto il massimo di visite
Registrati gratuitamente Servizio dedicato ai professionisti della salute