COVID-19: aggiornamento della settimana 5-12
- Roberta Villa
- Uniflash
- L’incidenza di nuovi casi di covid-19 in Italia sembra essersi di nuovo stabilizzata. Nei dati aggregati raccolti dal Ministero della Salute, resta infatti a 386 nuovi casi registrati per 100.000 abitanti,contro i 388 della scorsa settimana. Sale ulteriormente però l’indice Rt sui casi sintomatici, che passa da 1,04 a 1,14. Crescono anche il tasso di occupazione dei reparti ospedalieri calcolati dal ministero della Salute che vanno in area medica dal 12 al 13,3% e in terapia intensiva dal 2,5 al 3,2% (ministero della Salute).
- Mentre si aspetta la ratificazione da parte del Ministero a somministrare i vaccini autorizzati da EMA anche ai bambini sotto i 5 anni, dall’Argentina arrivano nuovi dati sull’efficacia di questi prodotti nel ridurre drasticamente la mortalità anche in bambini e adolescenti. Mentre infatti la protezione dall’infezione con omicron è minima e svanisce rapidamente, anche con le nuove varianti quella nei confronti della mortalità è significativa nei bambini (66,9%) e rilevante negli adolescenti (97,6%) (Castelli).
- In contrasto con l’idea che ormai non abbia senso condurre una sorveglianza sui casi asintomatici, uno studio condotto a Liverpool mostra che test rapidi settimanali diffusi su base volontaria a partire da novembre 2020 hanno ridotto in maniera rilevante il rischio di ricovero rispetto a quanto accaduto in altre zone dell’Inghilterra usate come controlli (Zhang).
- L’impatto della pandemia sugli adolescenti non è stato solo psicologico o formativo: una ricerca condotta a Stanford sulle risonanze magnetiche di 163 ragazzi esaminati prima e dopo la pandemia suggerisce che i fattori di stress subiti nei mesi passati abbiano determinato uno sviluppo accelerato delle loro strutture cerebrali, come quelle di chi ha subito abusi o gravi difficoltà. Non èpossibile però oggi predire se queste anomalie sono transitorie o si tradurranno in problemi a medio e lungo termine (Gotlib).
- Un altro lavoro finanziato dai CDC statunitensi suggerisce che alcuni dei sintomi riferiti a long covid possano in realtà dipendere dal malessere generale associato alla situazione pandemica. Su un migliaio di soggetti testati per sintomi riconducibili a covid-19, infatti, a distanza di tre mesi anche quelli risultati negativi riferivano vari sintomi persistenti, in percentuale anche superiore a quella dei pazienti che erano stati positivi al virus (53,5% vs 39,6%), una differenza che si annullava tenendo conto dei necessari aggiustamenti. La ricerca sottolinea la necessità di avere sempre un gruppo di controllo quando si studia una condizione ancora in fase di definizione come long covid (Wisk).
- A questo proposito, un’analisi condotta in Inghilterra ha invece dimostrato che la persistenza di sintomi post covid, presente in circa una persona infetta su 4, triplica il ricorso ai servizi sanitari, con una frequenza di casi maggiore nel sesso femminile e negli individui con indice di massa corporea più elevato (Debski).
- Una revisione sistematica della letteratura con metanalisi condotta sempre nel Regno Unito ha analizzato 194 studi su long covid, 5 dei quali su minori di 18 anni, per un totale di oltre 700.000 pazienti. Secondo questi autori, circa il 45% dei soggetti a quattro mesi circa dalla guarigione dall’infezione lamenta ancora sintomi, con la fatigue come disturbo prevalente. Il fatto che 120 dei trial considerati riguardino pazienti ricoverati in ospedale spiega però un dato così elevato rispetto ad altre ricerche più focalizzate sui pazienti ambulatoriali, che segnalano una prevalenza di long covid molto inferiore (O’Mahoney).
- Un gruppo di ricercatori di Houston ha individuato il meccanismo che conduce alcuni pazienti gravi a sviluppare una rapida fibrosi polmonare, in media 15 settimane dall’esordio dei sintomi, dopo che l’infezione ha provocato un ARDS non risolvibile se non con trapianto. Dall’esame del tessuto polmonare asportato i ricercatori hanno identificato una firma genetica caratteristica di questi casi, assente in altri campioni provenienti da fibrosi polmonari da altra causa (Jyothula).
- Sul fronte delle cure emergono dati rassicuranti sull’uso di Paxlovid nelle donne contagiate da SARS-CoV-2 in gravidanza. Solo 2 delle 47 trattate hanno interrotto il trattamento per effetti collaterali, mentre nessuna ha sviluppato una forma grave di malattia, sebbene più del 60% avesse almeno una comorbidità (Garneau).
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