COVID-19: aggiornamento della settimana 30-8


  • Roberta Villa — Agenzia Zoe
  • Sintesi della letteratura
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-          Con riferimento alla settimana dal 16 al 22 agosto risale leggermente l’incidenza media da 69 a 71 nuovi casi per 100.000 abitanti, mentre l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici dal 5 al 17 agosto scende leggermente ancora da 1,1 a 1,01 raggiungendo la soglia epidemica. I ricoveri invece salgono sia in area medica (da meno di 3.500 a oltre 4.000), sia in terapia intensiva, dove si è passati da 423 a 504 letti occupati per pazienti Covid-19. A livello nazionale entrambi i tassi di occupazione (rispettivamente 7,1% e 5,7%) restano tuttavia largamente al di sotto dei parametri che definiscono il sovraccarico del servizio (Ministero della salute).

-          La Sicilia invece supera il 10% di tasso di occupazione delle terapie intensive e delle aree mediche, con un’incidenza settimanale molto superiore alla soglia del 50 su 100.000 (344 casi positivi per 100.000 abitanti). Per la coincidenza di queste tre condizioni, la Regione da oggi entra in area gialla, mentre altre a rischio (soprattutto Sicilia e Calabria) per il momento restano in area bianca (Ministero della Salute).

-          Con oltre 77 milioni di somministrazioni, si è raggiunto ormai il 70% della popolazione italiana oltre i 12 anni. È risalito rispetto alla scorsa settimana il numero di vaccinazioni effettuate, confermando l’ipotesi che il rallentamento dipendesse soprattutto da fattori legati alle vacanze di agosto (Ministero della Salute).

-          Non si è ancora vaccinato un cinquantenne su 4 e 1-2 sessanta-settantenni su dieci, mentre oltre gli 80 resta esposto ai rischi di infezione quasi un anziano su dieci: in totale abbiamo quindi una popolazione di oltre 4,5 milioni di persone, stabile da settimana, che non ha usufruito della possibilità di vaccinarsi, sebbene questa sia stata facilitata ormai in tutte le regioni in queste fasce di età (Ministero della Salute).

-          Il rischio di effetti collaterali che blocca la maggior parte di queste persone è stato quantificato in relazione ai rischi degli stessi fenomeni di conseguenza all’infezione. Un grande studio nazionale condotto in Israele su quasi 900.000 persone ha infatti confermato che la vaccinazione con Pfizer aumenta significativamente il rischio di miocarditi (2,7 casi ogni 100.000 persone), linfadenopatia (78,4 casi ogni 100.000 persone), appendicite (5 casi ogni 100.000 persone) e infezione da herpes zoster (15,8 casi ogni 100.000 persone). Nei pazienti colpiti dall’infezione, il rischio di miocardite è però di 11 su 100.000 persone, così come aumenta il rischio di una serie di altri eventi cardiovascolari gravi come pericarditi, aritmie, trombosi venose profonde, embolie polmonari, infarti del miocardio, emorragie intracraniche e trombocitopenia (Barda 2021).

-          I dati dei fascicoli elettronici di oltre 30 milioni di persone vaccinate in Inghilterra entro aprile 2021 (oltre 29 milioni circa con il vaccino di Astrazeneca, meno di 1 milione con quello di Pfizer) confermano inoltre entro 14 giorni dalla prima dose un aumento dei casi di trombocitopenia, tromboembolia venosa, e rari casi di trombosi arteriose nei pazienti vaccinati con Astrazeneca e di tromboembolia arteriosa e ictus ischemico in quelli vaccinati con Pfizer. Un aumento del rischio di trombosi del seno venoso cerebrale si è riscontrato con entrambi i vaccini, seppure con un minimo valore assoluto di questo dato (su 10 milioni di persone vaccinate con Astrazeneca, i casi di trombosi del seno venoso cerebrale, CVST, sono stati 7 nel mese successivo alla vaccinazione). Il dato più rilevante, tuttavia è l’incremento del rischio di tutte queste condizioni dato dall’infezione: la positività al tampone si associa a trombosi del seno venoso cerebrale fino a 36 volte maggiore che per la vaccinazione (Hippisley-Cox 2021).

-          Abbiamo nuovi dati anche nella valutazione degli effetti a lungo termine dell’infezione. Uno studio cinese ha seguito i pazienti a 6 e 12 mesi dalla dimissione da un ospedale di Wuhan nel corso della prima ondata col virus originale, nella primavera del 2020. Su 1.276 pazienti seguiti per un anno, il 68% aveva ancora almeno un sintomo al primo controllo, valore sceso circa alla metà a un anno di distanza, mentre nello stesso periodo aumentava leggermente, dal 26 al 30%, la quota di pazienti con dispnea. Cresceva col tempo anche la percentuale di ansia e depressione, di cui soffriva dopo un anno più di un paziente su 4. Anche maggiore la persistenza di dolore e malessere, anche se il sintomo più comune era la stanchezza, che, come i disturbi mentali, era più frequenti nelle donne che negli uomini. L’88% dei pazienti che aveva un’occupazione prima di ammalarsi, dopo un anno era tornato al lavoro, ma uno su quattro non ai livelli precedenti (Huang 2021).