COVID-19: aggiornamento della settimana 25-4

  • Roberta Villa — Agenzia Zoe
  • Notizie dalla letteratura
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  • Continua la lenta discesa dell’incidenza di covid-19 che, secondo i dati aggregati del Ministero della salute, passa da 717 a 675 casi per 100.000 abitanti. L’Rt medio calcolato sui casi sintomatici scende sotto 1, a 0,96. Cala leggermente, a 4,5%, il tasso di occupazione delle terapie intensive, mentre quello in area medica resta sostanzialmente lo stesso rispetto alla scorsa settimana (Ministero della salute).
  • Dal 21 aprile, anche i medici di famiglia possono prescrivere paxlovid, l’antivirale che si è mostrato in grado di ridurre drasticamente il rischio di ricovero in pazienti a rischio con forme lievi-moderate che non richiedono somministrazione di ossigeno. La procedura prevede la selezione dei candidati sulla base di una serie di condizioni di rischio e la compilazione di un piano terapeutico, che tiene conto delle numerose possibili interazioni farmacologiche con medicinali di uso comune (AIFA).
  • Un nuovo studio danese suggerisce che la minore gravità intrinseca di omicron rispetto a delta possa essere anche maggiore di quanto finora stimato, con un ridotto rischio di ricovero anche nelle persone non vaccinate (Bager).
  • Dall’analisi di oltre 11.000 cartelle ospedaliere per covid-19 negli Stati Uniti emerge invece che la protezione conferita dal vaccino di Pfizer possa durare anche meno del previsto: l’efficacia nei confronti dei ricoveri da variante omicron, che nei primi 3 mesi dopo la terza dose è dell’85% , crolla nelle settimane successive al 55%. Per gli accessi in pronto soccorso si passa dal 77 al 53% (Tartof).
  • Più ottimisti sono i dati di laboratorio provenienti da due studi che mostrano un allargamento della risposta data dai linfociti B a diverse varianti di SARS-CoV-2 con il passare del tempo e soprattutto in seguito al booster (Kotaki, Muecksch).
  • Per il momento non ci sono conferme né si può del tutto escludere un possibile legame tra SARS-CoV-2 e gli oltre 165 casi di epatiti acute di origine sconosciuta segnalati in bambini di tutto il mondo, a partire dagli oltre 100 descritti nel Regno Unito. In Italia a oggi, su 11 segnalazioni in 8 Regioni, ne sono confermate 2 sotto i 10 anni e altre 2 con un’età leggermente superiore, compreso un ragazzino di 11 anni che ha dovuto essere sottoposto a trapianto di fegato. Le ipotesi per ora chiamano in causa un adenovirus di sierotipo 41, lo stesso SARS-CoV-2, una coinfezione dei due o altri possibili agenti ancora da individuare (WHO, Ministero della salute).