COVID-19: aggiornamento della settimana 19-7

  • Roberta Villa — Agenzia Zoe
  • Notizie dalla letteratura
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  • Si conferma purtroppo la ripresa della pandemia in quasi tutte le Regioni italiane, con le sole eccezioni di Val d’Aosta e provincia di Trento. L’incidenza settimanale a livello nazionale, tra la settimana finita il 4 e quella conclusa l’11 luglio, è passata da 9 a 14 nuovi casi per 100.000 abitanti, restando comunque ovunque al di sotto della soglia di 50 casi su 100.000 che dovrebbe consentire il tracciamento. Aumenta tuttavia il numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione (2.408 vs 1.539 la settimana precedente), mentre scende la percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti (31% vs 32,6% la scorsa settimana). Oltre il 46% dei casi è stato individuato per la comparsa di sintomi, contro il 40% della settimana precedente (Ministero della Salute).
  • Cresce nettamente anche il valore di Rt, che a livello nazionale torna a 0,91 (range 0,67– 1,32), in deciso aumento rispetto alla settimana precedente e sopra 1 nel limite superiore. Particolarmente preoccupante risulta la situazione di Sardegna, Sicilia e Veneto, che dal 26 luglio, sulla base dei criteri finora adottati, potrebbero rientrare in zona gialla. Dato tuttavia il minor carico ospedaliero provocato finora dalla ripresa dei casi (nessuna regione si è infatti per ora avvicinata alla soglia critica di occupazione dei letti ospedalieri, e in particolare di quelli di terapia intensiva), si parla di modificare i criteri che definiscono il passaggio tra un’area e l’altra da parte delle Regioni. Per il momento, tuttavia, tutte restano in zona bianca (Ministero della Salute).
  • La dissociazione tra la curva dei casi e quella dei ricoveri è attribuita, come in altri Paesi avanzati, alle campagne di vaccinazione, che hanno protetto soprattutto le persone più fragili. L’età media dei nuovi casi, secondo il nuovo rapporto dell’ISS, è quindi scesa a 29 anni. Secondo i dati contenuti nel rapporto, l’efficacia sul campo in Italia di un ciclo completo di vaccino è stata finora dell’88% nei confronti dell’infezione, del 94,6% in relazione ai ricoveri ospedalieri e al 97,3% a quelli in terapia intensiva e del 95,8% rispetto al rischio di morte (ISS).
  • A oggi sono state somministrate in Italia quasi 61 milioni e 500.000 dosi di vaccino, che hanno permesso di proteggere con un ciclo completo oltre il 45% della popolazione, percentuale che raggiunge il 50% se si considerano solo i maggiori di 12 anni, gli unici a cui per ora il vaccino è raccomandato. Continuano a preoccupare, tuttavia, soprattutto alla luce della nuova ondata in corso, gli oltre 2 milioni di over 60 che non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose, che si sommano ad altrettanti cinquantenni e oltre 3 milioni di quarantenni, fasce di età a minor rischio di decesso, ma che possono tuttavia andare incontro a ricoveri e complicazioni con una frequenza non indifferente (Ministero della Salute).
  • Per incentivare le vaccinazioni, si sta discutendo di seguire l’esempio della Francia e di altri Paesi europei che hanno subordinato a un green passo concesso in seguito all’avvenuta vaccinazione (o a malattia recente o a tampone negativo nelle 48 ore precedenti) l’accesso a bar, ristoranti, mezzi di trasporto o altri luoghi pubblici dove si possono creare assembramenti.

 

  • Il provvedimento dovrebbe tenere conto che in alcune Regioni molti giovani, pur desiderosi di vaccinarsi, non sono ancora riusciti a ottenere un appuntamento, dall’altro il fatto che non è nota la durata della protezione conferita dai vaccini. La questione è particolarmente aperta per gli operatori sanitari, che sono stati i primi a ricevere il prodotto appena si è reso disponibile tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021. A questo proposito, uno studio pubblicato online in questi giorni su Lancet mostra che gli anticorpi rivolti contro la spike di SARS-CoV-2 tendono a essere molto più elevati nei soggetti vaccinati che hanno avuto anche l’infezione naturale, rispetto ai vaccinati che non si erano mai ammalati, e tra questi, inferiori in chi aveva ricevuto Astrazeneca rispetto ai vaccinati con Pfizer. In generale, il calo degli anticorpi contro spike sembra avvenire tra 3 e 10 settimane dopo la seconda dose di Astrazeneca e Pfizer, con riduzioni più evidenti nei soggetti più anziani e vulnerabili. Più duraturi sembrano gli effetti della vaccinazione eterologa. Non conoscendo le caratteristiche della memoria immunologica cellulare, né la soglia di un valore corrispondente protettivo, gli autori non possono però attribuire a questi dati un significato clinico rilevante (Shrotri 2021).

 

  • A favore di una maggiore immunogenicità della vaccinazione eterologa con vaccino di Pfizer dopo una prima dose di Astrazeneca è stata pubblicata su Nature Medicine anche una breve comunicazione relativa a un’ottantina di operatori sanitari seguiti nell’ambito dell’Hannover Medical School’s COVID-19 Contact Study: tutti hanno avuto una buona copertura, ma in quelli che come seconda dose avevano ricevuto Pfizer si è osservata una maggiore risposta di linfociti T positivi per CD4 e CD8 specifici per spike, oltre a un’attività anticorpale neutralizzante nei confronti delle varianti alfa, beta e gamma (Barros-Martins 2021).

 

  • Un gruppo di ricercatori della Vir Biotechnology ha identificato un anticorpo che dovrebbe essere in grado di neutralizzare tutte le varianti di SARS-CoV-2 e altri sarbecovirus, aprendo la strada a possibili trattamenti in grado di difenderci da questa e altre possibili pandemie (Starr 2021).

 

  • Sul fronte della clinica quotidiana crescono invece le preoccupazioni legate alle manifestazioni a lungo termine della malattia. Una survey internazionale che ha raccolto i questionari di oltre 3.000 persone da una cinquantina di Paesi conferma la persistenza di molti sintomi oltre i 6 mesi, soprattutto per quanto riguarda la fatigue e l’annebbiamento cognitivo (Davis 2021).

 

  • Il problema sembra poco frequente nei bambini e negli adolescenti. Secondo una lettera inviata a JAMA, sintomi riconducibili a long Covid e di durata superiore a tre mesi sarebbero riferiti nel 4% dei ragazzi con una storia di tampone positivo per SARS-CoV-2 contro il 2% di quelli senza questo dato anamnestico. Stanchezza, difficoltà di concentrazione e bisogno di dormire più della norma potrebbero però rappresentare un problema se questa piccola percentuale di piccoli pazienti dovesse tradursi in un numero assoluto significativo a causa di una larga diffusione dell’infezione in questa popolazione per la quale in Occidente non esistono ancora vaccini autorizzati (Radtke 2021).