COVID-19: aggiornamento della settimana 18-10


  • Roberta Villa — Agenzia Zoe
  • Sintesi della letteratura
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  • Scende ancora, a 29 casi per 100.000 abitanti, l’incidenza di infezione da SARS-CoV-2 in Italia, mentre risale leggermente, pur mantenendosi sotto la soglia di 1, il fattore Rt, che passa da 0,83 a 0,84.  Continua a calare invece la percentuale di occupazione dei posti letto in area medica e terapia intensiva (Ministero della salute).
  • Forse per effetto del green pass reso obbligatorio da venerdì scorso per la maggior parte delle attività, è leggermente aumentato il numero di somministrazioni settimanali di vaccino, invertendo così la tendenza in discesa delle ultime settimane. Si resta comunque sotto il milione di dosi somministrate in 7 giorni, di cui circa 200.000 sono terze dosi o richiami (Ministero della salute).
  • Il dibattito sulla necessità della terza dose nella popolazione generale parte dalla mancanza di una risposta definitiva a una domanda: la minore efficacia della vaccinazione registrata negli ultimi mesi in molti Paesi rispetto a quel che era stato stimato in passato è conseguente a un calo delle difese a distanza di mesi dalla vaccinazione o a una minor capacità neutralizzante degli anticorpi nei confronti della variante delta? Nel primo caso, un richiamo potrebbe essere molto utile anche per la popolazione generale, nel secondo, sarebbero risorse sprecate.
  • A supporto della prima modalità di interpretazione dei dati verrebbe la gravità del focolaio che si è verificato a Dehli, in India, nei mesi scorsi, sebbene le stime dell’Indian Councilof Medical Research suggerissero che un adulto su 5 e un adolescente su 4 si erano già infettati nel corso della prima ondata. Un’analisi genomica e matematica pubblicata su Science stima che la protezione data dall’infezione con il ceppo originario proteggerebbe nei confronti della variante delta dal 50 al 90% di quanto faceva con i lignaggi precedenti (Dhar 2021).
  • Uno studio retrospettivo condotto con la collaborazione di Pfizer sui dati di quasi tre milioni e mezzo di persone incluse nel database di Kaiser Permanente Southern California farebbe propendere per la prima risposta. L’efficacia nei confronti dell’infezione da variante delta è passata dal 93% del primo mese al 53% dopo 4 e nei confronti delle altre varianti è passata da 97% a 67%. La protezione nei confronti dei ricoveri si è invece mantenuta anche con la delta al 93% per tutte le età fino a 6 mesi (Tartof 2021, Saag 2021).
  • Meno incertezza c’è nei confronti dei pazienti a rischio. La British Society of Rheumatology, per esempio, sottolineando i gravi rischi corsi dai pazienti immunodepressi in caso di infezione, per effetto della malattia di base o del relativo trattamento, per cui a tutti deve essere raccomandata la vaccinazione contro Covid-19. Data la scarsa risposta al ciclo primario indicata dal trial Octave (Munro 2021), la società scientifica raccomanda una terza dose a un mese dalla seconda come schedula primaria nei pazienti gravemente immunodepressi dai 12 anni in su, e un richiamo a sei mesi in tutti gli altri (British Society for Rheumatology)
  • Per i pazienti con malattia infiammatoria intestinale, la British Society of Gastroenterology ha raccomandato un approccio intermedio tra la schedula prevista per completare il ciclo nei soggetti che si ritiene non sviluppino una reazione sufficiente (ad almeno 28 giorni dalla seconda dose) e quella di richiamo per i più fragili (dopo 6 mesi). L’indicazione dice che la terza dose non dovrebbe essere offerta prima di 8 settimane dalla seconda in tutti i pazienti di questo tipo dai 12 anni in su che assumano farmaci immunosoppressivi, indipendentemente dal dosaggio, e a tutti gli altri pazienti con malattie infiammatorie intestinali che sono estremamente vulnerabili a Covid-19 (Alexander 2021).
  • In questa stessa categoria di pazienti cronici con malattia infiammatoria intestinale, uno studio condotto dall’Università di Oxford ha registrato un’alta adesione alla vaccinazione su un totale di 461 persone che frequentavano il John Radcliffe Hospital di Oxford per ricevere le loro infusioni periodiche di mantenimento di infliximab o vedolizumab. È degno di nota che dei 16 rifiuti, 11 si siano avuti in donne che programmavano una gravidanza, la stavano vivendo o l’avevano appena conclusa. Anche oltre Manica, la comunicazione sulla sicurezza del vaccino in queste circostanze non deve essere stata così efficace (Selim 2021).
  • Tra i pazienti a rischio bisognerebbe ricordare sempre gli obesi. Uno studio svedese ha dimostrato che durante la prima ondata pandemica nelle terapie intensive del Paese scandinavo 4 pazienti su dieci erano obesi, una condizione che lì riguarda poco più del 15% degli abitanti (Sjögren 2021).
  • Sul fronte delle cure domiciliari, l’uso di aspirina o apizaban nei pazienti sintomatici ma stabili non ha dimostrato alcun vantaggio rispetto al placebo in relazione a un esito primario composito di mortalità da tutte le cause, tromboembolia arteriosa o venosa sintomatica, infarto del miocardio ictus o ricovero per cause cardiovascolari o polmonare. Il reclutamento è stato interrotto al 9% per una incidenza troppo bassa degli eventi da registrare (Connors 2021).