COVID-19: aggiornamento della settimana 14-11

  • Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
  • Attualità mediche
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di Roberta Villa

 

  • Alla luce dei dati, comunicati ora con cadenza settimanale, l’andamento della pandemia da covid-19 nel nostro paese sembra aver rallentato o interrotto la sua discesa. L’incidenza dei casi registrati, in questa fase molto sottostimati rispetto al carico reale, risulta sostanzialmente stabile, anche se nei dati più recenti aggregati dal Ministero della Salute mostra segni di ripresa, risalendo oltre la soglia dei 300 nuovi casi per 100.000 abitanti. Sostanzialmente stabili il tasso di occupazione delle aree mediche, al 10%, e quello delle terapie intensive, al 2,4%, così come il numero dei decessi, attestato su una media di circa 80 al giorno (Ministero della salute, Cislaghi).
  • Sul fronte dei vaccini, EMA ha autorizzato per i richiami il nuovo vaccino proteico di Sanofi VidPrevtyn Beta, basato appunto sulla variante beta e potenziato dall’adiuvante pandemico di GSK. Sulla base dei due trial a oggi disponibili dal nuovo prodotto ci si aspetta un’efficacia non inferiore a quella della versione originale del vaccino di Pfizer Comirnaty (EMA).
  • Tutti gli studi che valutano l’immunogenicità dei vaccini si basano sulla capacità del prodotto di indurre una risposta anticorpale neutralizzante, la più semplice da valutare, ma uno studio condotto ad Harvard e pubblicato su Science Immunology ha dimostrato che nei macachi vaccinati col vaccino di Jannsen un ruolo importante nella protezione dalla replicazione del virus è dato anche dalle cellule T CD8+. I ricercatori ritengono probabile che lo stesso si possa verificare negli esseri umani vaccinati con prodotti a mRNA, e che questa barriera cellulare, che si ritiene incapace di bloccare l’infezione, possa comunque essere utile a evitare le forme gravi di malattia, anche da varianti in grado di evadere la prima linea di difesa costituita dagli anticorpi (Liu).
  • Un nuovo studio proveniente dal Qatar ha messo a confronto la protezione conferita da un ciclo primario di vaccinazione (Pfizer in oltre 100.000 persone e Moderna in oltre 60.000) con quella data da una precedente infezione in soggetti accoppiati 1:1 per sesso, fascia decennale di età, nazionalità, numero di comorbidità e tempo trascorso dalla prima dose di vaccino o dal primo incontro con il virus a partire da tre mesi dopo questo primo contatto. Nei dieci mesi successivi, il rischio di contrarre una seconda infezione risulta dimezzato nei sopravvissuti alla prima infezione, indipendentemente dalle varianti in gioco, rispetto ai cittadini vaccinati e quello di una forma grave o di un decesso appare addirittura ridotto di oltre il 75%, con un range di CI95% che va tuttavia da 0,08 a 0,72. Questa scarsa affidabilità del dato è dovuta alla rarità degli eventi gravi sia nella popolazione vaccinata che in quella guarita, da ricondurre alle caratteristiche demografiche del campione, rappresentativo della popolazione del Qatar, ma molto diverso dalla nostra: l’età mediana è infatti di 30 anni, con l’80% senza alcuna comorbidità (Chemaitelly).
  • Una lettera da Israele al New England Journal of Medicine aggiorna invece i dati relativi all’efficacia della quarta dose del vaccino di Pfizer sugli operatori sanitari del paese in sei mesi di follow-up durante l’ondata omicron della prima metà del 2022: il richiamo conferisce inizialmente una maggiore protezione nei confronti del contagio rispetto alla sola terza dose, ma questa tende a calare nel tempo, fino a sparire dopo 4 mesi. Anche in questo caso, l’assenza di casi gravi e decessi in una popolazione mediamente giovane e attiva, impedisce di estrapolare queste conclusioni alle fasce più a rischio (Canetti).
  • Sul fronte della prevenzione non farmacologica, l’ultimo baluardo ancora in vigore in alcuni contesti come gli ospedali e le RSA è la mascherina, di cui molti tuttavia discutono l’utilità. A questo proposito, nel Massachusetts, le scuole che a febbraio 2022 hanno tolto l’obbligo di portarla hanno visto nelle 15 settimane successive quasi 45 casi in più per 1.000 individui, tra studenti e personale, rispetto ai due comprensori scolastici che invece hanno deciso di mantenere questa misura e che avevano tendenzialmente edifici più vecchi e peggio areati, classi più affollate, studenti provenienti da famiglie a minor reddito, non bianche e per cui l’inglese non era la lingua madre. Per questo secondo gli autori il mantenimento delle mascherine, che riduce il numero di giorni di assenza per malattia di alunni e insegnanti, può essere anche uno strumento di mitigazione delle diseguaglianze (Cowger).