COVID-19: aggiornamento della settimana 11-4
- Roberta Villa — Agenzia Zoe
- Notizie dalla letteratura
- L’andamento della pandemia in Italia sembra finalmente in leggero miglioramento, con un calo dell’incidenza da 836 a 776 casi per 100.000 abitanti, secondo i dati aggregati del Ministero della salute e un Rt medio calcolato sui casi sintomatici che mostra un’inversione di tendenza, da 1,24 a 1,15, sebbene anche i limiti inferiori restino sopra 1. Stabile al 5% il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva, con un leggero aumento di quelli in area medica, dal 15 al 15,8% (Ministero della salute, Istituto superiore di sanità).
- Gli ultimi dati provenienti da Israele su oltre un milione di soggetti confermano l’efficacia di una quarta dose nel ridurre il rischio di infezione rispetto alla terza. Questa protezione extra tende tuttavia a svanire nel giro di poche settimane, mentre quella contro la malattia grave si mantiene nel tempo. A questo proposito, dopo il pronunciamento di ECDC ed EMA, anche l’Italia ha deciso di riservare il secondo booster agli ultraottantenni e ai fragili dai 60 anni in su. (Bar-On, Ministero della Salute).
- Un gruppo di lavoro che ha pubblicato i suoi risultati su Lancet ha stimato che il numero globale di infezioni al 14 novembre 2021, quindi prima dell’emergere della variante omicron, era già molto superiore ai dati ufficiali: più di 3 miliardi di persone, pari a oltre il 40% della popolazione mondiale, era già stata infettata almeno una volta, con Paesi colpiti oltre il 70% e altri sotto il 20%. Il maggior numero di casi in termini assoluti (oltre un miliardo) si è verificato nell’Asia meridionale, mentre il maggior tasso di infezione sulla popolazione si è verificato nell’Africa sub-sahariana, con quasi l’80% della popolazione infettata dal virus. Al contrario, il minor numero di casi in termini assoluti, meno di 250 milioni, è stimato nel gruppo dei Paesi a più alto reddito, che comprende dall’Australia al Giappone, dagli Stati Uniti all’Europa. Il più basso tasso di infezione si stima invece nel sud est asiatico, in Asia orientale e Oceania, con solo 13 infetti ogni 100 abitanti (Covid-19 Cumulative Infection Collaborators).
- Un simile numero di infezioni potrebbe indurre un ulteriore, indiretto, carico di malattia, considerato l’aumento del rischio di malattie cardiovascolari, diabete e altre condizioni già descritto nelle scorse settimane. A queste osservazioni si aggiungono questa settimana nuove fonti di preoccupazione. Uno studio condotto sui dati di oltre un milione di persone dai registri svedesi mostra nel mese successivo alla diagnosi di positività, dopo aver aggiustato per possibili fattori confondenti, un rischio quasi doppio di sanguinamento, maggiore di 5 volte di trombosi venosa profonda e di 33 volte per l’embolia polmonare (Katsoularis). Un altro lavoro pubblicato su Pain mette invece in luce il rischio di neuropatie periferiche, e in particolare dolore agli arti, triplicato in chi ha avuto l’infezione rispetto alla popolazione generale e persistenti per 3 mesi dall’infezione (Chioma).
- Sempre su Lancet, dall’analisi dei dati raccolti su segnalazione spontanea dei cittadini sull’app ZOE, è stato possibile confrontare le caratteristiche dell’infezione nella fase di prevalenza della variante delta con quelle successive alla dominanza di omicron accoppiando i partecipanti per sesso, età e numero di dosi di vaccino. Tra i soggetti infettati con la variante attuale si è osservata una netta riduzione, da oltre il 50 a meno del 17%, di casi con perdita dell’olfatto, mentre è aumentata la frequenza del mal di gola, che prima colpiva circa 6, oggi più di 7 persone su 10. Il calo nel rischio di ricovero con omicron in questa popolazione, tutta vaccinata con almeno due dosi, è stato del 25%, coerente con precedenti osservazioni. La durata dei sintomi e della contagiosità è risultata in media inferiore, da 8 a 5 giorni circa (Menni).
- Sul fronte delle cure, una revisione sistematica e metanalisi di 3 trial sembra confermare l’associazione tra l’assunzione dell’antidepressivo fluvoxamina con un minor rischio di ricovero per covid-19. Occorrono altri studi per trarre conclusioni, ma data la maneggevolezza, disponibilità e il basso costo del farmaco gli autori suggeriscono che potrebbe rappresentare una valida opzione nei contesti in cui è difficile accedere ad anticorpi monoclonali e antivirali (Lee).
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