Cosa si intende per malattia infiammatoria cronica intestinale difficile da trattare?
- Elena Riboldi
- Uniflash
Nonostante i progressi nelle terapie, una quota consistente di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI, o più spesso IBD dall’inglese inflammatory bowel diseases) non va o rimane in remissione anche dopo aver ricevuto più linee di trattamento. Finora c’è stato un grosso ostacolo all’interpretazione degli studi che si sono occupati di questi casi difficili: l’eterogeneità dei criteri e della terminologia utilizzati dai vari autori.
Sotto gli auspici dell’International Organization for the Study of Inflammatory Bowel Disease (IOIBD) alcuni esperti hanno organizzato un consensus meeting per arrivare a una definizione comune di “malattia infiammatoria cronica intestinale difficile da trattare” (difficult-to-treat IBD, che in questo articolo verrà abbreviato in dtt-IBD). È il primo passo per comprendere meglio questa patologia e disegnare studi e interventi mirati.
La definizione
Al termine dei lavori gli esperti hanno concluso che si può parlare di “malattia infiammatoria cronica intestinale difficile da trattare” in caso di:
- fallimento delle terapie con farmaci biologici e small molecules avanzate con almeno due diversi meccanismi di azione;
- recidiva del morbo di Crohn dopo due resezioni chirurgiche (una nei bambini);
- pouchite cronica refrattaria agli antibiotici (la pouchite è un’infiammazione della tasca ileo-anale creata nei pazienti affetti da rettocolite ulcerosa sottoposta a colectomia totale);
- malattia perianale complessa (malattia di Crohn difficile da trattare);
- problemi psicosociali che ostacolano l’adeguata gestione dell’IBD (es. disturbi coesistenti che ostacolano l’aderenza alle terapie, la partecipazione alle visite di follow-up o la valutazione oggettiva dei sintomi da parte del medico).
Come ci si è arrivati
Il punto di partenza è stato il sondaggio globale condotto nel 2022 con il supporto dell’IOIBD in cui era stato chiesto ai medici che seguono i pazienti con IBD cosa secondo loro contribuisse alla dtt-IBD. Sulla base di quel sondaggio è stata stilata una serie di affermazioni riguardanti tre domini: il fallimento dei trattamenti, il fenotipo della malattia e il paziente in senso più ampio (non limitatamente alla patologia intestinale).
Le affermazioni sono state sottoposte al vaglio della task force, composta da 16 esperti che operano in 8 nazioni europee, Canada, Giappone, Israele e Stati Uniti. Per l’Italia hanno contribuito a questa iniziativa Silvio Danese e Tommaso Lorenzo Parigi (IRCCS Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano) e Ferdinando D’Amico (Humanitas University, Rozzano, Milano). Il professor Danese, membro dell’IOIBD, è l’autore corrispondente dell’articolo pubblicato sulla rivista Lancet Gastroenterology and Hepatology con cui sono stati divulgati il progetto e le sue conclusioni.
Usando il metodo di Delphi modificato, gli esperti si sono espressi in favore o meno delle 20 affermazioni proposte. Per 5 di esse è stato raggiunto il consenso (almeno il 75% dei partecipanti alle votazioni era d’accordo).
Il significato
“Gli scopi di questa iniziativa di consenso erano due" spiegano gli autori. "Primo, volevamo aiutare a standardizzare le relazioni degli studi e promuovere il disegno di studi clinici che includessero i pazienti con dtt-IBD attraverso la proposta di una terminologia comune. Secondo, speravamo di identificare nella pratica clinica un gruppo di pazienti che necessitano di cure particolari o di essere segnalati a un centro specializzato. Per un paziente con una malattia refrattaria a due o più classi di farmaci avanzati, che quindi si qualifica come dtt-IBD, andrebbero prese in considerazione strategie di trattamento più aggressive, come terapie combinate o approcci multidisciplinari”.
“Nel campo della reumatologia l’elaborazione di criteri comuni per l’artrite reumatoide difficile da trattare ha permesso ai ricercatori di concentrare gli sforzi nell’identificare marcatori progressivi di malattia, valutare l’efficacia dei farmaci, i meccanismi di inefficacia, strategie di gestione personalizzata e analisi sull’uso delle risorse sanitarie e sui costi. Progressi simili possono essere ottenuti nelle malattie infiammatorie croniche intestinali”.
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