Come gestire la tossicità cutanea degli anti-EGFR nel tumore metastatico del colon sinistro?
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Elena Riboldi - Agenzia Zoe
Gli anti-EGFR usati nel tumore metastatico del colon sinistro provocano tossicità cutanea in più di 4 pazienti su 5. I medici che si trovano a dover gestire tali eventi avversi non hanno potuto contare su raccomandazioni ufficiali fino a 2021, quando la European Society for Medical Oncology (ESMO) ha pubblicato le proprie linee guida per la prevenzione e la gestione delle tossicità cutanee degli antineoplastici. Stando a quanto riporta uno studio appena pubblicato sulla rivista Supportive Cancer Care in Italia si predilige l’approccio reattivo e non quello preventivo come suggerito da ESMO. La pratica quotidiana andrebbe riconsiderata alla luce della minore continuità terapeutica osservata con l’approccio reattivo.
Lo studio si è concentrato su pazienti con tumore metastatico del colon sinistro RAS/BRAF wild-type, il cui trattamento di prima linea consiste preferenzialmente nell’associazione di un regime chemioterapeutico basato su un fluoropirimidinico (FOLFOX o FOLFIRI) e di un anticorpo monoclonale anti-EGFR (cetuximab o panitumumab). Il recettore EGFR ha un ruolo cruciale nella biologia dei cheratinociti, ne consegue che i farmaci anti-EGFR provocano problemi cutanei al 45-100% dei pazienti. Più precisamente, con cetuximab e panitumumab l’incidenza della tossicità cutanea di qualunque grado è dell’85%, quella di grado 3-4 è 13% con panitumumab e 10% con cetuximab.
Gli autori dello studio hanno raccolto i dati di 515 pazienti trattati tra il 2012 e il 2020 in 22 istituzioni (21 italiane e 1 spagnola). Il follow-up mediano era di 30 mesi. Il 33,6% dei pazienti aveva ricevuto un trattamento preventivo e il 66,4% un trattamento reattivo per gli effetti collaterali a carico della cute. Nei pazienti trattati con il primo approccio c’era un’incidenza significativamente più bassa di rash acneiforme nella popolazione globale (78,6% contro 94,4%; P<0,001), nei pazienti trattati con panitumumab (76,1% contro 93,7%; P<0,001) e in quelli trattati con cetuximab (83,3% contro 95,4%; P=0,004). Negli stessi pazienti era più bassa l’incidenza di paronichia/problemi ungueali di ogni grado (41,6% contro 50,9%; P=0,047), anche se era più alta quella degli stessi eventi di grado 3-4 (9,2% contro 4,7%; P=0,042). Il consulto dermatologico è stato richiesto più sovente per i pazienti in cui è stato usato l’approccio reattivo (21,4% contro 15,3%; P=0,001), gli stessi per cui è stato necessario con maggiore frequenza correggere il dosaggio o sospendere permanentemente o temporaneamente la terapia anti-EGFR (41,6% contro 35,9%; P<0,001). Da sottolineare il fatto che l’approccio preventivo non riduceva l’efficacia della terapia in termini di ORR (69,2% contro 72,8%), PFS (12,3 contro 13 mesi) e OS (28,8 contro 33,5 mesi).
“I risultati del nostro studio confermano che un approccio preventivo è efficace nel ridurre la comparsa di tossicità cutanea senza intaccare l’efficacia della terapia antineoplastica sistemica – concludono gli autori dello studio, suggerendo che – Una più ampia ricezione e applicazione delle linee guida internazionali, associata a una maggiore collaborazione tra oncologi e dermatologi, appare auspicabile al fine di migliorare l’esito complessivo e assicurare l’efficacia e la continuità della terapia antitumorale”.
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