Come è cambiata la letalità del COVID-19 nel tempo?

  • Cristina Ferrario — Agenzia Zoe
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  • Utilizzando l’inferenza Bayesiana è stato dimostrato un incremento della letalità del COVID-19 nel Regno Unito nell’autunno del 2020.
  • Alla base dell’incremento la comparsa della cosiddetta “variante inglese”, ma anche altri fattori ancora da identificare con certezza.

 

I dati parlano chiaro: nel tardo autunno del 2020 il COVID-19 ha cambiato volto nel Regno Unito ed è diventato più letale. È quanto emerge da uno studio pubblicato su PLOS One da un gruppo di ricercatori inglesi guidati da Patrick Pietzonka, dell’Università di Cambridge (Regno Unito).

“Lo scopo della nostra ricerca era di stabilire attraverso metodi Bayesiani le prove di un cambiamento della letalità della malattia, utilizzando dati nazionali su numero di casi e mortalità strutturati per età” esordiscono gli autori, facendo notare che prima di questo lavoro non erano disponibili dati certi sull’incremento della letalità del COVID nel Regno Unito verso la fine del 2020.

Nell’introdurre i risultati, Pietzonka e colleghi ricordano che la variante B.1.1.7 del virus SARS-CoV-2 (la cosiddetta “variante inglese”) ha fatto la propria comparsa nel Regno Unito a settembre 2020 e ha presto preso il sopravvento sulla precedente variante, essendo molto più contagiosa. “Una maggiore contagiosità non necessariamente si traduce in una maggiore letalità” dicono gli autori che per studiare in modo più accurato le variazioni nella letalità hanno utilizzato modelli statistici complessi, che tenevano conto di numerosi fattori inclusi anche i processi diagnostici (richieste di test e capacità di eseguirli).

“Alcuni dei modelli presi in considerazione includevano la possibilità di un cambiamento nel tasso di fatalità dell’infezione (IFR), altri invece no” aggiungono gli esperti, che hanno notato come i modelli che includevano il cambiamento fossero più consistenti e come tutti arrivassero, in termini di inferenza, a identificare un incremento di circa 2 volte nell’IFR. “un valore che si pone ben al di sopra delle stime precedentemente disponibili” dicono Pietzonka e colleghi.

Colpa quindi dell’arrivo della “variante inglese”? In parte, ma non solo, secondo i ricercatori che hanno osservato un incremento dell’IFR anche in Germania e in Francia nello stesso periodo, nonostante la variante sotto accusa non fosse ancora presente in misura rilevante in quei paesi.

“Le nuove varianti potrebbero avere un ruolo nel cambiamento dell’esito della malattia, ma vanno valutate anche altre possibili cause, come per esempio la pressione sui servizi sanitari e una stagionalità del virus simile a quella che si osserva per esempio in altre infezioni” concludono.