Biomarcatori dell’invecchiamento, cosa sono e a cosa servono
- Elena Riboldi
- Uniflash
Il Biomarkers of Aging Consortium ha pubblicato sulla rivista Cell un’estesa revisione della letteratura in cui inquadrano le diverse tipologie di biomarcatori dell’invecchiamento finora studiati e ne discutono il processo di validazione e il potenziale utilizzo clinico. Questi biomarcatori potrebbero essere sfruttati per aumentare l’aspettativa di vita degli esseri umani.
Un consorzio multidisciplinare
“La necessità urgente di biomarcatori dell’invecchiamento per individuare interventi in favore della longevità è stata riconosciuta fin dagli anni Sessanta in risposta alla scoperta che l’invecchiamento è un processo modificabile – scrivono Vadim N. Gladyshev, professore di medicina dell’Università di Harvard e gli altri autori della revisione – Tuttavia, oggi non c’è consenso sui metodi di valutazione e di validazione di questi biomarcatori e non c’è nessuna standardizzazione di come vadano usati, persino in un contesto preclinico. Al fine di porre delle basi su cui sviluppare il potenziale dei biomarcatori dell’invecchiamento abbiamo costituito il Biomarkers of Aging Consortium (https://www.agingconsortium.org) per coinvolgere un gruppo multidisciplinare di esperti con competenze diverse relative ai diversi aspetti dei biomarcatori dell’invecchiamento”.
Gli esperti hanno innanzitutto trovato un consenso sui termini chiave, a partire da quella di invecchiamento, che hanno definito come “il processo di accumulo delle conseguenze del vivere, come il danno molecolare e cellulare, che portano al declino funzionale, alle malattie croniche e infine alla morte”. Analizzando gli studi disponibili hanno poi classificato i possibili biomarcatori dell’invecchiamento, suggerendone il potenziale clinico.
“Il nostro obiettivo è fare passi avanti per soddisfare una necessità pendente: valutare i biomarcatori con cui accertare i cambiamenti nell’età biologica” hanno dichiarato, precisando che quella in gioco non è l’età cronologica (l’età definita da tempo trascorso dalla nascita), ma l’età biologica, ovvero “l’età di un individuo definita dal livello di cambiamenti biologici dipendenti dall’età, come l’accumulo di danno molecolare e cellulare”.
Quali sono
Un biomarcatore dell’invecchiamento è “un parametro quantitativo di un organismo che, da solo o assieme ad altri, predice l’età biologica e idealmente si modifica in risposta ad interventi”. I biomarcatori possono essere classificati come:
- molecolari: la classe più numerosa, possono essere basati sulle “omiche” (trascrittomica, epigenomica, proteomica o metabolomica) o su molecole specifiche (es. livelli di or insulin-like growth factor 1 o pannelli di parametri ematici);
- fisiologici: misure della performance funzionale (es. fitness cardiorespiratoria, distanza percorsa, funzioni cognitive) o caratteristiche fisiche (es. indice di massa corporea);
- istologici e radiografici: più difficili da misurare.
A questi si vanno aggiungendo nuovi biomarcatori. “Recentemente sono stati proposti biomarcatori digitali – spiegano gli esperti – Questo tipo di biomarcatore sta guadagnando interesse grazie ai progressi nella salute digitale, tra cui tecnologie indossabili e non indossabili che ora consentono agli individui di raccogliere direttamente dati in grado di spiegare, influenzare e/o predire esiti legati alla salute e all’invecchiamento”. Un esempio di biomarcatori digitali può essere rappresentato dal ritmo del sonno o dai pattern motori. Va precisato che un biomarcatore può appartenere a più categorie, per esempio essere molecolare e fisiologico oppure funzionale e digitale.
A cosa servono
Oltre ad essere classificati per tipo, i biomarcatori possono essere raggruppati in base alla loro applicazione clinica. In questo senso i biomarcatori vengono distinti in biomarcatori:
- predittivi/prognostici, servono a predire mortalità/longevità, morbilità/aspettativa di vita, declino associato all’età/vitalità;
- di risposta (a un intervento o a un’esposizione), servono a stabilire prove di concetto o a misurare la risposta a prodotti terapeutici o ad agenti ambientali;
- di scoperta, essendo legati a pathway biologici possono essere utili a identificare nuovi bersagli terapeutici o interventi per la longevità.
“Tra le categorie elencate i biomarcatori predittivi e di risposta sono al momento i più importanti nel contesto della ricerca sull’aging – affermano gli autori del Consorzio, aggiungendo che – Tuttavia bisogna prendere atto del fatto che nessun biomarcatore dell’invecchiamento di alcuna categoria è stato approvato dalle autorità regolatorie statunitensi per applicazioni cliniche”.
Quali caratteristiche devono avere
Idealmente un biomarcatore dell’invecchiamento dovrebbe:
- essere misurabile con metodi non invasivi o minimamente invasivi e la misurazione essere affidabile;
- essere rilevante per l’invecchiamento;
- predire aspetti funzionali dell’invecchiamento;
- rispondere agli interventi per la longevità.
“Sarebbe irrealistico cercare di identificare un singolo biomarcatore che catturi tutti gli aspetti dell’invecchiamento biologico e soddisfi tutti i criteri. Ogni biomarcatore dell’invecchiamento ha vantaggi e limiti che andrebbero valutati usando questo framework” affermano gli esperti, fermamente convinti dell’utilità della loro opera di inquadramento. Nell’ultima parte della revisione vengono infine proposte ulteriori considerazioni sui criteri di valutazione (es. generalizzabilità, costi) e sul processo di validazione dei biomarcatori.
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