ASCO 2023 – Speranze e dubbi sui test multi-cancro per la diagnosi precoce

  • Cristina Ferrario
  • Conference Reports
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Messaggi chiave 

  • L’utilizzo di un test multi-cancro per pazienti sintomatici è risultato compatibile con la routine clinica nel Regno Unito.
  • La sensibilità del test aumenta all’aumentare dello stadio clinico di malattia, ma resta piuttosto bassa per le neoplasie in stadio I e II, sollevando dubbi sulla reale utilità clinica.

Un test multi-cancro per la diagnosi precoce [multi-cancer early detection o MCED] sviluppato dall’azienda GRAIL LLC è riuscito a identificare la presenza di cancro con una sensibilità del 66,3% e una specificità del 98,4%. Questi sono alcuni dei risultati dello studio SIMPLIFY, finanziato da GRAIL LCC e dal National Institute for Health and Care Research (NIHR) e presentati nel corso del congresso annuale 2023 della American Society of Cancer Oncology (ASCO).

“Solo una minoranza dei tumori viene diagnosticata in soggetti asintomatici, nella maggior parte dei casi la diagnosi viene effettuata in persone che si rivolgono al proprio medico di base in presenza di sintomi” ha detto Brian D Nicholson, della Università di Oxford (Regno Unito) che ha presentato i dati nel corso del meeting statunitense. “In alcuni casi i sintomi sono chiari e possono guidare le successive scelte diagnostiche, ma in altri casi sono più generici e potrebbero essere legati a diverse patologie oncologiche, rendendo piò complesse le decisioni su quali ulteriori test utilizzare” ha aggiunto. 

Un test in grado di identificare la presenza di cancro in fasi precoci e di suggerire anche la potenziale origine della malattia potrebbe rappresentare un grande supporto diagnostico per la comunità medica. 

 

Un solo test, tante neoplasie

Si inserisce in questo contesto lo studio prospettico osservazionale SIMPLIFY, che ha arruolato 6.240 pazienti in 44 centri di Inghilterra e Galles. Tutti questi soggetti erano stati inviati ai centri dai loro medici di medicina generale per la presenza di sintomi potenzialmente legati a uno di cinque pathway tumorali identificati nelle linee guida nazionali: pathway ginecologico, del tratto gastro intestinale inferiore, del tratto gastrointestinale superiore, del polmone e di invio precoce (quest’ultimo in assenza di sintomi chiaramente indicativi di uno specifico pathway tumorale). Su 5.461 di questi soggetti è stato possibile effettuare il test MCED su campione di sangue e confrontare i risultati con quelli ottenuti seguendo il percorso diagnostico standard. In particolare, il test oggetto di studio analizza mediante tecniche di next-generation sequencing (NGS) il DNA libero circolante (cell-free DNA; cfDNA) isolato dal sangue e fornisce risultato sotto forma di “segnale positivo” o “segnale negativo” per il cancro. Inoltre, nel caso di segnale positivo, il test fornisce anche informazioni sulla potenziale origine della malattia. 

Il test ha identificato un segnale positivo in 323 casi: 244 hanno in effetti ricevuto una diagnosi oncologica, mentre 79 sono risultati “falsi positivi”. Il tutto si traduce in valore predittivo positivo (PPV) del 75,5%, un valore predittivo negativo (NPV) del 97,6%, una sensibilità del 66,3% e una specificità del 98,4%.

La sensibilità raggiunge il 95,3% nei tumori di stadio IV, ma si ferma al 24,2% nello stadio I e i risultati in termini di sensibilità e NPV sono migliori per i pazienti inviati ai centri con sintomi suggestivi di tumori del tratto gastrointestinale superiore.

 

Dal laboratorio alla pratica clinica

Nella discussione immediatamente successiva alla presentazione dei dati, Peter P. Yu (Hartford Health Care e Memorial Sloan Kettering Cancer Center), ha ricordato quali devono essere le caratteristiche di un buon test predittivo - ovvero validità analitica, validità clinica e utilità clinica - sottolineando le basse sensibilità per le fasi iniziali di malattia, che potrebbero rappresentare un problema nel caso del test oggetto dello studio SIMPLIFY.

Critico sulle performance del test anche Maurizio D’Incalci, a capo del Laboratorio di Cancer Pharmacology presso Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano), professore di farmacologia presso Humanitas University e Presidente della Società Italiana di Cancerologia (SIC). 

“I risultati mostrano come attraverso analisi molecolari sul DNA circolante si possa identificare la presenza di tumori maligni di diverso tipo. Lo studio è apparentemente interessante, ma un’analisi dettagliata rivela la sua inadeguatezza. Infatti, su 323 pazienti identificati come positivi dal test, 79 casi non avevano il cancro (25%). Una percentuale così elevata di falsi positivi rende un test di diagnosi precoce di difficile applicazione nella pratica clinica. Esiste un problema piuttosto importante di natura organizzativa ed economica per il sistema sanitario: il soggetto a cui è stato diagnosticato un tumore con il test molecolare dovrà comprensibilmente essere sottoposto a una serie di esami di laboratorio e radiologici per scoprire quale organo è affetto dal tumore. Nel caso in cui tutti questi esami risultino negativi, si riterrà opportuno ripetere periodicamente gli stessi esami per comprendere se il test abbia identificato un tumore non ancora dimostrabile con le tecniche disponibili. Vi sono inoltre problemi psicologici per i soggetti sani che ricevono un risultato positivo del test che sono difficilmente quantificabili, ma certamente non esenti da un peggioramento della qualità della vita” spiega l’esperto, che poi aggiunge: “Anche i dati di sensibilità del test, che a un primo sguardo sembrano promettenti, non permettono di sperare che questo tipo di test migliorerà marcatamente la diagnosi dei casi di cancro a uno stadio iniziale. Infatti la sensibilità è alta nei casi allo stadio IV, ma molto inferiore per i casi allo stadio I. Considerando che i pazienti dello studio avevano già sintomi e che la presenza di tumore allo stadio avanzato è possibile anche con metodiche standard, la rilevanza di questo test di anticipare la diagnosi è per lo meno fortemente dubbia”.

Lo sviluppo di nuovi metodi di diagnosi precoce basati sull’individuazione di alterazioni molecolari dei tumori è molto importante e dovrebbe essere una priorità nella ricerca oncologica. "Ritengo però che sia poco probabile riuscire ad avere un test, come quello proposto da GRAIL, che si pone l’obiettivo di identificare la presenza di tumori maligni di organi diversi. Sarebbe probabilmente più ragionevole investire sullo sviluppo di test mirati per un singolo tipo tumorale che sfruttino le recenti conoscenze sulla progressione molecolare. Infatti quanto più un test è generale, tanto maggiore è il pericolo di falsi positivi. A mio parere, la ricerca dovrebbe mirare a identificare e validare dei metodi altamente specifici per ogni tipo di tumore, dando la priorità a quei tumori la cui curabilità è fortemente dipendente dallo stadio” conclude D’Incalci.