Artrite reumatoide, giù del 20% le diagnosi durante la pandemia

  • Elena Riboldi
  • Notizie dalla letteratura
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  • In Inghilterra le diagnosi di artrite infiammatoria sono diminuite del 20% dopo il primo lockdown per l’epidemia di COVID-19.
  • I pazienti hanno ottenuto il consulto con lo specialista in tempi più brevi dell’usuale e non ci sono stati ritardi nell’inizio della terapia.
  • D’altra parte, durante la pandemia sono stati prescritti più frequentemente farmaci considerati più sicuri ma meno efficaci.

Tra le tante conseguenze della pandemia da COVID-19 vi sarebbe anche la sottodiagnosi dell’artrite reumatoide (AR) e delle altre forme di artrite infiammatoria. O almeno questo è quanto è stato documentato per l’Inghilterra da uno studio del King’s College di Londra e dell’Università di Oxford che mostra che dopo il primo lockdown il numero di diagnosi è diminuito di un quinto rispetto ai valori prepandemici. Secondo lo studio inglese, pubblicato sulla rivista Lancet Rheumatology, le condizioni eccezionali degli ultimi due anni non avrebbero influito sull’accesso all’assistenza specialistica, presumibilmente anche grazie alla telemedicina, ma potrebbero avere portato i medici a un atteggiamento prudenziale nella prescrizione dei farmaci.

Lo studio ha sfruttato OpenSAFELY, una piattaforma per l’analisi dei dossier sanitari elettronici, generata col benestare del sistema sanitario inglese (NHS). OpenSAFELY consente di analizzare, senza scaricare i dati del paziente e quindi minimizzando il rischio di identificazione, le informazioni relative all’assistenza primaria e ospedaliera a circa il 40% della popolazione adulta dell’Inghilterra. Gli autori dello studio hanno esaminato i dati relativi al periodo aprile 2019-marzo 2022 per individuare eventuali variazioni nell’incidenza delle diagnosi di artrite infiammatoria e nella gestione dei pazienti.

L’analisi ha compreso 17.683.500 pazienti, a 31.280 dei quali è stata diagnosticata un’artrite infiammatoria (artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondiloartrite assiale, artrite infiammatoria indifferenziata). Rispetto al 2019, le nuove diagnosi sono diminuite mediamente del 20,3% a partire da aprile 2020: si è passati da 6,4 diagnosi a 5,1 diagnosi ogni 10.000 adulti. “Abbiamo riscontrato che l’incidenza delle diagnosi di artrite infiammatoria sono diminuite del 40% all’inizio della pandemia – precisano gli autori dello studio – Ulteriori diminuzioni hanno coinciso con l’aumento dei casi di COVID-19, prima di tornare ai livelli prepandemici alla fine del periodo in esame”.

Durante la pandemia il periodo intercorso tra la richiesta di assistenza medica e la prima valutazione reumatologica è stato più breve di quanto non lo fosse prima (la mediana era 18 giorni invece di 21 giorni). “La spiegazione è probabilmente multifattoriale – commentano gli autori – L’enorme stress sotto cui si trovavano i servizi durante la pandemia potrebbe essere stato compensato da un minor carico di pazienti che si presentavano con artrite infiammatoria e dalla transizione alle visite virtuali”.

Le prescrizioni di DMARD (disease modifying antirheumatic drug) sono rimaste simili prima e durante la pandemia, tuttavia, nel periodo pandemico ci sono state meno prescrizioni di metrotressato o leflunomide e più prescrizioni di sulfasalazina o idrossiclorochina. “Ciò potrebbe essere dipeso dai timori del medico riguardo alla prescrizione di farmaci percepiti come maggiormente immunosoppressivi – proseguono – La prescrizione di DMARD sintetici convenzionali con minori necessità di monitoraggio (es. idrossiclorochina) potrebbe essere anche stata favorita in un momento di limitato accesso alle analisi del sangue e di carenza di provette per gli esami ematici nell’NHS”.

I dati raccolti non mostrano un rimbalzo nell’incidenza di artrite infiammatoria a livelli superiori a quelli prepandemici negli ultimi mesi del periodo in esame, il che suggerisce che rimangono ancora  molti casi non diagnosticati che auspicabilmente lo saranno nel prossimo futuro.