Appello medici, 'dare giusto tempo a malati, basta catene di montaggio'

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Roma, 13 feb. (Adnkronos Salute) - Una visita ogni 15 minuti, non più di 20 per certi esami. Il tic tac dell'orologio che incombe, il richiamo della sostenibilità economica. E se un paziente sfugge all'ingranaggio, il cronometro fatica a fermarsi. "Vorremmo un cambio di paradigma per la medicina: superare una medicina legata soltanto al fatto tecnico per approdare a una medicina che coinvolge soprattutto l'aspetto umano e quindi di dialogo con le persone". Questo "cambio di passo ha due aspetti: insegnare ai medici come metterlo in pratica, ed entrando nel concreto modificare l'organizzazione del lavoro nel senso che i medici dovrebbero avere più tempo per parlare con i pazienti". Il giusto tempo per ogni malato, che è diverso dall'altro. E' questo il messaggio lanciato da Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), in occasione della Giornata mondiale del malato che si è celebrata sabato.

Per il numero uno dei camici bianchi italiani è giunto il momento di "superare i tempari", che scandiscono il ritmo delle prestazioni ai pazienti, spiega all'Adnkronos Salute. "Perché dietro la malattia si nasconde anche un disagio più profondo che riguarda l'intera persona. E la soluzione mirata alla semplice patologia non risponde poi completamente al bisogno di benessere che i cittadini esprimono". Non si può ragionare per gabbie, caselle, catene di montaggio. In questi giorni, riflette Anelli, si è aperto il tavolo" di trattative fra i sindacati e l'Aran per il rinnovo del contratto di lavoro. Parlando del tempo per la cura e la comunicazione con il paziente, "il tema non è mai stato posto", precisa il presidente di Fnomceo. "Nel senso che la legge sul consenso informato che sancisce anche che la comunicazione è tempo di cura, è del 2017, però ad oggi non ci sono ancora modelli né situazioni tali da prefigurare un'applicazione concreta di quella norma di legge. Norma che non si esaurisce al consenso informato, ma apre una serie di prospettive che sono espressione del cambio di paradigma che vorremmo".

La logica del tempario, sottolinea Anelli, "implica che i medici in termini di efficienza economica dovrebbero rispondere e dire che in 10 minuti o un quarto d'ora si conclude una visita, punto e basta. E' il vecchio modello in base al quale il camice bianco deve accelerare e continuare con le visite. Ora è chiaro che oggi non abbiamo una proposta organizzativa" che risponda alla necessità di adattare i tempi di cura e comunicazione ai pazienti, "ma bisognerebbe proprio avviare una discussione che favorirebbe questo tipo di rapporto con i cittadini. Dico questo perché nella concezione economicistica che è presente oggi nell'organizzazione della nostra sanità il tempo è denaro, come si suol dire, e quindi sprecare tempo su questo diventa una perdita di risorse. Invece bisognerebbe spostare il problema sul versante dei diritto: il cittadino ha il diritto di conoscere e di decidere".

Come funziona oggi? "Le aziende oggi - illustra il presidente Fnomceo - hanno bisogno di definire quanto tempo di lavoro devono fare per esempio gli specialisti diabetologi con i pazienti, per cui stabiliscono un tempario che da un punto di vista burocratico può avere anche un certo senso per la programmazione delle visite. Queste possono essere pianificate una ogni 15 minuti, ma poi dal punto di vista pratico bisognerebbe dare al medico anche la possibilità di sforare quel tempo, laddove si rende necessario per spiegare al paziente dei passaggi. Da parte del medico non ci deve essere la preoccupazione che ci sono una serie di situazioni da risolvere e non ha il tempo per poterlo fare. Oggi a condizionare profondamente la professione è proprio l'eccesso di richiesta che c'è, a fronte del fatto che i medici sono sempre meno e devono fare sempre di più".

Per Anelli, per poter "riorganizzare" la macchina dell'assistenza sanitaria in modo da poter dare il tempo giusto ai malati si dovrebbe agire su più piani: a livello di amministrazioni, di Codice deontologico e formazione universitaria, e di contratti di lavoro. Le università entrano in gioco perché "bisogna insegnare ai medici la comunicazione con il paziente, come parte del percorso formativo. Gli atenei dovrebbero muoversi in questo senso e molti hanno anche già iniziato a modificare i processi formativi". Modificare l'organizzazione del lavoro è l'altro aspetto: "Non è possibile - ragiona - che non ci siano oggi modelli organizzativi che tengano conto di quello che il cittadino chiede. E se cambiamo i modelli organizzativi, anche i contratti a loro volta si adattano ai nuovi modelli organizzativi. Quindi la sfida è questa".

Come si potrebbe fare? "Superando il tempario, facendo sì che il medico, nel rapporto con il cittadino tenga conto di tutte le sue implicazioni, mettendo in moto meccanismi che diano al medico la possibilità di essere il più aderente possibile ai voleri del cittadino - elenca Anelli - E naturalmente per poter garantire le condizioni che rispondono a un diritto del cittadino, si deve garantire anche il tempo. Il tempo necessario al medico per recepire paure ed esigenze del paziente e prospettare soluzioni".

E in quest'ottica, "la singolarità del caso ha una preminenza e il medico lo dovrebbe tenere in considerazione, rispetto al tempo da dedicare e alle valutazioni sull'appropriatezza delle prestazioni indicate. Il rapporto tra medico e cittadino diventa sempre più stretto e il Servizio sanitario nazionale dovrebbe mettere in piedi un meccanismo, un'organizzazione che tenga sempre più conto del volere del cittadino, rispetto alla semplice richiesta di prestazione del medico", osserva il presidente.

"Anche per i medici - continua Anelli - questa diventa una sfida professionale: occorre provare a cambiare la prospettiva che non è solo quella di dare una risposta attraverso la prescrizione di una prestazione, ma quella di prendersi cura della persona, di parlare. E' il sistema che dobbiamo provare a cambiare e noi come Federazione possiamo modificare il Codice deontologico in questo senso. Gli articoli del codice dovrebbero essere modificati nel definire che cos'è oggi il medico, il ruolo sociale che può avere, la formazione che gli serve. E' quello che stiamo facendo, avendo avviato un processo culturale, una discussione partita 4 anni fa e ripresa a pieno ritmo dopo il Covid. Riscriveremo il codice sulla base delle riflessioni che stanno venendo fuori".

Sul fronte lavoro, "inviteremo i sindacati a discutere anche di questi temi. Il mondo medico sta discutendo e le ricadute in qualche maniera le avremo". Oggi però, conclude il presidente Fnomceo, "dovrebbe succedere che anche il mondo della burocrazia, dell'amministrazione e delle Regioni discuta di questo. Lì siamo in forte ritardo. Quello che ci manca è il rapporto diretto con le Regioni, un rapporto che vorremmo costruire in senso positivo, perché anche loro devono rendersi conto che un'organizzazione sanitaria in maniera 'fordista', come una fabbrica in cui ognuno fa il suo pezzo, non regge più, perché non risponde al dovere di garantire i diritti ai cittadini, ma si limita semplicemente a un'azione meccanicistica che in sanità non va bene".