Antibiotici e malattie infiammatorie croniche dell’intestino, la relazione c’è

  • Elena Riboldi
  • Notizie dalla letteratura
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Messaggi chiave

  • L’uso di antibiotici si associa al rischio di malattie infiammatorie croniche dell’intestino, specialmente dopo i 40 anni.
  • Il rischio aumenta con l’esposizione cumulativa agli antibiotici ed è più alto nei primi due anni dall’esposizione.

Che l’utilizzo di antibiotici rappresenti un fattore di rischio per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI o IBD, acronimo di inflammatory bowel diseases), ovvero morbo di Crohn e colite ulcerosa, non è un concetto nuovo. L’esistenza di un’associazione tra antibiotici e IBD però finora era stata dimostrata solo nei soggetti più giovani. Uno studio danese pubblicato sulla rivista Gut dimostra che questa associazione c’è anche negli adulti e negli anziani. Il rischio di IBD aumenta con l’aumentare dell’esposizione agli antibatterici, anche se non con tutte le classi di farmaci allo stesso modo.

Lo studio è basato sull’analisi dei registri nazionali relativi ai residenti in Danimarca di età ≥10 anni nel periodo 2000-2018. La coorte analizzata comprende più di 6 milioni di persone (n = 6.104.245) tra cui sono stati diagnosticati 52.898 nuovi casi di IBD (36.017 casi di colite ulcerosa e 16.881 casi di morbo di Crohn). Nel periodo in esame al 90,9% dei soggetti inclusi nella coorte era stato prescritto almeno un ciclo di antibiotici. Rispetto ai soggetti non esposti agli antibiotici, coloro a cui erano stati prescritti questi farmaci avevano un rischio più elevato di IBD a qualunque età; il rischio relativo era 1,28 (95%CI 1,25-1,32) nella fascia d’età 10-40 anni, 1,48 (1,43-1,54) nella fascia 40-60 anni e 1,47 (1,42-1,53) nella fascia over 60. Ciò era vero sia per il morbo di Crohn che per la colite ulcerosa.

Gli autori dello studio hanno riscontrato una relazione dose-risposta tra numero di cicli antibiotici e rischio di IBD: i soggetti che avevano ricevuto 5 o più cicli di antibiotici, in qualunque fascia di età, erano quelli con il rischio più alto (più che doppio per coloro che avevano più di 40 anni). Per tutti, il rischio di sviluppare IBD era più alto 1-2 anni (40% di rischio in più) dopo l’esposizione agli antibiotici che non 4-5 anni dopo (13% in più). Andando a distinguere le varie classi di antibiotici è emerso che il rischio era più alto con i nitromidazoli e i fluorochinoloni, farmaci comunemente prescritti per trattare le infezioni gastrointestinali; la nitrofurantoina era l’unico antibiotico non associato all’insorgenza di IBD.

Trattandosi di uno studio osservazionale non è possibile stabilire un nesso causale, tuttavia è ragionevole credere che gli effetti degli antibiotici sul microbioma intestinale siano rilevanti. “Quando le persone invecchiano, l’ambiente microbico che cambia può portare a una riduzione della diversità e a un’aumentata suscettibilità alle perturbazioni. Nel nostro studio ne vediamo una possibile prova dato che l’uso di antibiotici si associa a un rischio più alto di sviluppare IBD tra le persone più vecchie rispetto ai soggetti più giovani – commentano gli autori. Inoltre, con cicli antibiotici ripetuti, i cambiamenti possono diventare più pronunciati, limitando alla fine il ripristino del microbiota intestinale”. Tra i motivi per argomentare la necessità di ridurre l’uso inappropriato degli antibiotici il medico dovrebbe quindi riferire che così facendo si riduce il rischio di malattie intestinali croniche.