Alcuni pazienti con tumori neuroendocrini preferiscono la qualità della vita rispetto alla longevità

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I pazienti con tumori neuroendocrini, che possono avere un’aspettativa di vita molto più lunga rispetto a quelli con tumori aggressivi, riferiscono di privilegiare maggiormente come obiettivo primario del trattamento fattori legati alla qualità della vita (quality of life, QoL), come rimanere indipendenti, piuttosto che una sopravvivenza più lunga. Ritengono tuttavia che spesso i medici non condividano le loro priorità, secondo quanto riporta uno studio pubblicato su Journal of the National Comprehensive Cancer Network.

“Il risultato più sorprendente del nostro studio è che i pazienti con tumori neuroendocrini in stadio avanzato danno valore a misure legate alla qualità della vita, come il mantenimento della capacità di svolgere le attività quotidiane e la riduzione dei sintomi, molto più che a vivere più a lungo”, dichiara a Medscape Medical News il primo autore, il Dott. Daneng Li, del Dipartimento di Oncologia Medica e Ricerca Terapeutica, City of Hope, Duarte, California.

“Questo risultato mette davvero in discussione il dogma tradizionale secondo il quale i pazienti vogliono solo vivere più a lungo, quello che un medico curante potrebbe ritenere l’esito più importante per il paziente”, commenta Li.

I tumori neuroendocrini sono rari e normalmente presentano sintomi aspecifici; di norma i pazienti ricevono pertanto una diagnosi solo quando i tumori sono metastatici e la chirurgia curativa non è più un’opzione terapeutica, spiegano gli autori.

Nonostante ciò, a differenza della breve sopravvivenza, di circa un anno, di molti altri tumori già metastatici al momento della diagnosi, i tumori neuroendocrini possono essere indolenti; la sopravvivenza complessiva (overall survival, OS) mediana è di circa 9,3 anni.

I pazienti con tumori neuroendocrini tendono a riportare una QoL correlata alla salute peggiore rispetto alla popolazione generale.

In questo studio i ricercatori hanno arruolato 60 pazienti affetti da tumori neuroendocrini che hanno completato valutazioni delle preferenze riguardanti gli esiti di salute, gli atteggiamenti, la QoL e le percezioni in relazione alla prognosi della malattia e al trattamento.

Quasi tutti i pazienti (96,7%) presentavano malattia in stadio IV e il 75% presentava tumori non funzionali. La metà (50%) dei pazienti aveva un’età pari o superiore a 65 anni e il 46,7% era di sesso femminile. La sede più comune del tumore primitivo era il tratto gastrointestinale (41,7%), seguito da pancreas (30,0%) e polmone (21,7%).

Potendo scegliere tra esiti di salute quali mantenere l’indipendenza (“mantenere l’attuale capacità di svolgere le attività quotidiane”), la sopravvivenza (“mantenerLa in vita il più a lungo possibile, indipendentemente dallo stato di salute in cui si trova”), ridurre o eliminare il dolore oppure ridurre o eliminare capogiri, fatica e/o dispnea, la maggior parte dei pazienti, il 46,7%, ha scelto il mantenimento dell’indipendenza come l’esito di salute più importante.

Solo il 30,0% dei pazienti ha scelto la sopravvivenza come esito di salute più importante.

Tra le altre opzioni, l’11,7% dei pazienti ha selezionato la riduzione o l’eliminazione del dolore come priorità assoluta e la stessa percentuale (11,7%) ha indicato la riduzione o l’eliminazione di capogiri, fatica e/o dispnea come esito più importante.

È degno di nota che il mantenimento dell’indipendenza è risultato l’esito più importante per i pazienti più giovani come pure per quelli più anziani (46,7% in entrambi i casi).

I pazienti più giovani hanno evidenziato maggiori probabilità di scegliere la sopravvivenza (36,7% vs. 23,3%) e la riduzione o l’eliminazione del dolore (16,7% vs. 6,7%) rispetto ai pazienti più anziani. Hanno scelto con meno probabilità la riduzione o l’eliminazione di capogiri, fatica e/o dispnea (0% vs. 23,3%).

Sottolineando il proprio desiderio di indipendenza, il 67% dei pazienti ha dichiarato di concordare con l’affermazione: “Preferisco avere una vita più breve piuttosto che perdere la capacità di prendermi cura di me stesso/a”, mentre l’85,0% ha dichiarato “Per me è più importante mantenere la capacità di pensare piuttosto che vivere il più a lungo possibile”.

È importante sottolineare che solo il 51,7% dei pazienti ha dichiarato di ritenere che gli obiettivi terapeutici del medico curante fossero in linea con i propri.

Tale sentimento potrebbe non limitarsi ai tumori neuroendocrini, commenta Li in un’intervista.

“La disparità negli obiettivi terapeutici percepiti tra pazienti e medici potrebbe essere un fenomeno più generale, a prescindere dall’aggressività del tipo di tumore”, afferma.

“È un dato di fatto nel nostro studio, condotto in una popolazione di pazienti con tumori più indolenti, ovvero con una diagnosi di tumore neuroendocrino”.

Le evidenze suggeriscono che “una comunicazione efficace tra paziente e medico è problematica e che tali difficoltà non si limitano ai pazienti con tumori neuroendocrini”, scrivono.

“Queste disparità potrebbero essere alleviate adottando decisioni condivise”, suggeriscono.

Il Dott. Li sottolinea che un buon punto di partenza è il riconoscimento del forte desiderio dei pazienti di rimanere indipendenti.

“Ritengo che per adeguarci meglio agli obiettivi dei pazienti dobbiamo includere altri esiti, come il mantenimento dell’indipendenza, la riduzione dei sintomi o del dolore e misure aggiuntive della qualità della vita, agli esiti principali da valutare durante il processo di sviluppo/approvazione dei farmaci, allo scopo di normalizzare queste considerazioni essenziali nel nostro processo di ricerca”, dichiara.

L’articolo è un adattamento dell’originale, scritto da Nancy A. Melville, apparso su Medscape.com, parte di Medscape Professional Network.