Ai per prevedere demenze, evento Gemelli-S.Raffaele Roma

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Roma, 2 mag. (Adnkronos Salute) - In Italia sono quasi 400mila le persone che, nel giro di 3-5 anni, andranno a ingrossare le fila dei pazienti con demenza, pazienti di fatto già ammalati di una forma molto iniziale (prodromica) di malattia: con l’aiuto dell’intelligenza artificiale i medici potranno scovare per tempo questi individui, prima cioè che manifestino i sintomi irreversibili e progressivi della patologia. Ciò potrebbe cambiare il corso delle cure, una volta che si rendessero disponibili dei nuovi farmaci contro l’Alzheimer, e permettere un intervento mirato e precocissimo con quelli attualmente disponibili e sui fattori di rischio/protezione già noti. A tale scopo è in corso uno studio europeo su intelligenza artificiale e demenze, che sarà al centro di un incontro, il 4 e 5 maggio presso il Policlinico universitario A. Gemelli Irccs-Università Cattolica e l’Irccs San Raffaele di Roma, dove si svolgerà l’Assemblea generale del progetto internazionale Ai-Mind.

Il progetto è finanziato dalla Commissione europea con circa 14 milioni di euro e l’Italia vi partecipa con 4 unità operative. Obiettivo della General assembly è fare il punto sui progressi del progetto i cui primi risultati dovrebbero essere disponibili e applicabili entro i prossimi due anni. "In Italia - rileva Paolo M. Rossini, direttore del Centro per Demenze Alzheimer e disturbi cognitivi dell’Irccs San Raffaele - ci sono circa 750mila persone con declino cognitivo lieve, ovvero soggetti con un elevatissimo rischio di ammalarsi di demenza: metà di queste è di fatto già ammalata di una forma molto iniziale (prodromica) di demenza che si svilupperà in modo evidente nei successivi 3-5 anni mentre la rimanente metà rimarrà autonoma e procederà secondo le normali curve di invecchiamento fisiologico".

"L’identificazione all’interno della popolazione di età superiore ai 60 anni di soggetti con ‘disturbo cognitivo lieve’ ovvero di quelle persone che – pur essendo ancora sostanzialmente sane - hanno un elevatissimo rischio di sviluppare demenza, rappresenta una delle urgenze maggiori in tema di politiche sanitarie per la corretta allocazione delle risorse economiche per questa patologia", spiegano Camillo Marra del Dipartimento di Scienze dell'invecchiamento, neurologiche, ortopediche e della testa-collo e Clinica della memoria della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica (Altems).

Il progetto europeo Ai-Mind - dettaglia una nota - è un progetto promosso dal programma di ricerca e innovazione dell’Ue per il 2021-2027 Horizon 2020; coinvolge 15 partner provenienti da 8 paesi europei. Il progetto vede coinvolti oltre 100 ricercatori europei in un consorzio che include neurologi, geriatri, psichiatri, bioingegneri, statistici, bioinformatici ed esperi dell’Health Technology Assessment. Lo studio vede anche la partecipazione di Alzheimer Europe, l’associazione che riflette a livello europeo tutte le consorelle nazionali di malati e famigliari.

Lo studio coinvolgerà 1000 partecipanti con lievi deficit cognitivi (Mci) di età compresa tra i 60 e gli 80 anni, che saranno reclutati in quattro paesi europei: Italia, Norvegia, Spagna e Finlandia. Per l’Italia i centri coinvolti nello studio sono appunto l’Università Cattolica (responsabile Camillo Marra), Altems (direttore Americo Cicchetti); Irccs San Raffaele (responsabile Paolo Maria Rossini) e l’azienda spin-off accademico di ricerca Neuroconnect (responsabile Fabrizio Vecchio).

"Con Ai-Mind - concludono Marra e Cicchetti - si punta a fornire uno strumento diagnostico capace di automatizzare e velocizzare un processo di elaborazione di una vasta mole di dati clinici per ciascun paziente, sì da poter arrivare nel giro di poche ore a un ‘risultato predittivo’ affidabile. La disponibilità di uno strumento di questo tipo - concludono - permetterà di cambiare il paradigma diagnostico nella demenza, fornendo ai medici un supporto tecnologico che permetterà di ridurre, da un lato la variabilità di comportamento tra gli operatori, dall’altro le disuguaglianze nell’accesso alla diagnosi”.